Selecciona una palabra y presiona la tecla d para obtener su definición.

Cosa ha significato per me Asturias

Giuseppe Bellini

Ricordare la figura di Miguel Ángel Asturias a quarant'anni dalla sua scomparsa è una iniziativa che torna ad onore di uno studioso come il professor Dante Liano, peraltro così legato alla sua terra di origine, come dimostra anche la sua produzione artistica.

Per me l'incontro con il grande personaggio, ai tempi iniziali della mia carriera di ispanista e ispanoamericanista nella storica Facoltà di Lingue e letterature straniere dell'Università Bocconi, ha rappresentato la prima avventura nell'ambito delle relazioni con i grandi delle lettere americane, cui sono seguiti Neruda, Octavio Paz, García Márquez e lo stesso Vargas Llosa, tra i vari nomi, consacrati più tardi dal prestigioso Premio Nobel.

Tra tutti, tuttavia, e anche al disopra di Neruda, al quale pure ero molto legato, anche se non ideologicamente, tanto che mi definiva il suo amico «burgués», Asturias è stato per me una sorta di monumento della letteratura, dapprima, poi la fonte di un'amicizia prolungatasi fino alla sua scomparsa, come dimostra il volume delle lettere edito recentemente dalla mia preziosa collaboratrice Patrizia Spinato1.

Da un timido approccio, proprio di un giovane di fronte a uno scrittore già famoso, la simpatia e la generosità di Asturias diedero luogo a una relazione come tra un padre premuroso e il figlio, che tale premura e generosità apprezzava. La sua presenza nelle aule della Bocconi, traboccanti di allievi alle sue conferenze e seminari, diede non solo appoggio al giovane insegnante, ma alla disciplina alla quale con entusiasmo si dedicava, la letteratura ispanoamericana, appunto, che nel 1959-60 divenne per la prima volta insegnamento ufficiale in una Università italiana, la Bocconi citata, per poi diffondersi anni dopo in altre Università. La presenza dello scrittore, allora in esilio, nell'Università Bocconi, era per lui, e per noi, professori e studenti, un momento magico. Il problema era isolare la moglie, doña Blanca -una persona peraltro straordinaria- che spesso rispondeva alle domande dei presenti prima del marito, ma alla fine vi riuscimmo.

A documentare lo spirito dell'Asturias «bocconiano» valga una delle risposte a un mio invito, lettera ora pubblicata da Patrizia:

Roma, sábado, 30 de abril/1966

Queridísimo Profesor Bellini:

Magnífico. El jueves 5 de Mayo nos constituiremos en la Ciudad de Milán, con doña Blanca. Yo hablo en la conferencia, y ella después. El tema, si a Usted le parece Rubén Darío y Juan Ramón Molina, poetas de la luz.

Le ruego avise al Prof. Vian.

Saldremos en el tren que llega allí a las 14.15 y nos volveremos en el tren de las 22.10.

Pensábamos ir y seguir de Milán a París, pero era cargar con un millón de valijas, porque nuestro equipaje abarca: biblioteca ambulante, farmacia de urgencia (hasta pequeña cirujía), vestuario de verano e invierno, recortes de periódico que acreditan mi «genio» como los toreros, recetas de cocina, calentador eléctrico y de gas, cafetera napolitana, café especial y perchas de colgar ropa, así como de esas otras pinzas de colores para prendas íntimas.

Creo que esto faltó en su maravilloso libro. Pero eso vendrá cuando me pinten de pantuflas.

Con que hasta el jueves... cariños de ambos nos dos a ambos dos ustedes,

Y un abrazo

Miguel Ángel


In epoca precedente avevo svolto per qualche anno, indotto dal mio Maestro, Franco Meregalli, una sorta di cursillo dedicato all'espressione letteraria ispanoamericana, trattando poi, ufficializzato l'insegnamento, di Sor Juana Inés de la Cruz, dell'Inca Garcilaso, della protesta nel romanzo ispanoamericano del Novecento, delle poetesse tra Modernismo e secolo XX, di Rómulo Gallegos, per giungere finalmente alla riscoperta di Miguel Ángel Asturias. La sua opera, El Señor Presidente, era già rientrata nei testi da me utilizzati per La protesta nel romanzo ispanoamericano del Novecento, ma il contatto diretto con l'autore per la traduzione di Week-end en Guatemala, poi di una antologia della sua poesia, Parla il Gran Lengua, infitti la nostra relazione e io presi a interessarmi di tutta la narrativa dello scrittore e infine pubblicai un libro, La narrativa di Miguel Ángel Asturias, che lo scrittore apprezzò, tanto che, con umorismo, ogni volta che qualche studente gli chiedeva chiarimenti circa la sua opera, affermava di dover prima consultare il libro del Bellini, che portava sempre con sé.

Tutto ciò rivela la natura dei rapporti tra me e il grande guatemalteco. Devo confessare che, pur appassionato di tanti autori, narratori e poeti della letteratura non solo ispano-americana, ma spagnola, l'opera di Asturias, soprattutto la narrativa, è stata per me attrazione costante. Credo che operasse nell'intimo la suggestione delle cronache delle Indie, oltre al mistero di un mondo straordinario, poi piu volte visitato anche con i miei collaboratori. Ma leggere Asturias narratore era soprattutto un costante arricchimento, non solo per El Señor Presidente, ma per romanzi come Hombres de maíz, El Papa verde, Los ojos de los enterrados, senza dimenticare El Alhajadito, Maladrón, Mulata de tal o Viernes de Dolores. Oggi, tuttavia, la mia preferenza va a Mulata de tal e a Viernes de Dolores, per lo straordinario gioco inventivo nella ricostruzione di un mondo ultimo, quale si disegna in una straordinaria festa del linguaggio.

Dall'opera di Asturias si coglie non solo il risultato artistico di uno scrittore eccezionale, ma un impegno morale che permea tutta la sua opera. Non è senza signifícate la sua adesione a scrittori come Cervantes e in particolare a Quevedo, la cui lettura conforta anche gli ultimi momenti della sua vicenda terrena. Se in El Señor Presidente, si trattava della condanna del potere dittatoriale e dei suoi crimini, per contrasto veniva esaltata nel romanzo la bontà naturale della povera gente, qui le prostitute, che assistono Fedina, venduta al bordello, distrutta per la perdita del figlio. Ed è raccapricciante, in Los ojos de los enterrados, la situazione del terribile personaggio, padrone della bananera, ricchissimo e tuttavia costretto, alla fine dei suoi giorni, a respirare attraverso una cannuccia, sia puré di platino, che i medici gli ficcano in gola «a martillazos».

Come affermava Quevedo, la ricchezza non salva la vita ed è così come in Mulata de tal il povero Celestino Yumí, che per la ricchezza vendette la moglie al diavolo del mais, Tazol, una volta riscattatala e tornato alla povertà nel suo paesello, dove nessuno più lo riconosce, è costretto a concludere che «la buena vida es la vida y nada más, no hay mala vida, porque la vida en sí es lo mejor que tenemos».

È l'uomo con le sue cattive passioni che, per Asturias, distrugge il paradiso sulla terra. È questo il grande tema che reggc tutta l'opera dello scrittore, sono i soprusi del potere e della ricchezza, quando, lezione fondamentaie, solo la morte, alla fine, ognuno attende. Il grande guatemalteco fa sua, di Quevedo, La Providencia de Dios; il passo è sottolineato nel testo della sua ultima e ridotta biblioteca personale, la dove si allude alla cecità dei ricchi, ai soprusi del potere, all'affermazione di Sant'Agostino che «Nulla felicitas frangit, quem nulla infelicitas corrumpit», che così commenta lo scrittore spagnolo: «Hombre bueno a prueba de la felicidad, de los trabajos hace defensa, y con la batería que le dan se pertrecha y fortalece». Altrimenti tutto termina come in Viernes de dolores, in una morte senza memoria, solo accompagnata dal rumore del «frote arcilloso del afinador», dal «plin-plin-plan... plin-plin-plan» della cazzuola dei seppellitori, dal rumore sinistro del féretro che a fatica è spinto nel loculo.

Questi, tra i molti, gli insegnamenti che Asturias lascia alla meditazione del lettore e che hanno fatto breccia profonda nella mia sensibilità, mi hanno spronato a coltivare hispanoamericanismo, disciplina che dalla fondazione bocconiana nel 1959 si è andata diffondendo, prima a Venezia, con il mio trasferimento a Ca' Foscari, all'inizio degli anni '70, poi con il mio ritorno nel 1981 a Milano, alla Statale, e prima ancora con l'insegnamento della disciplina all'Università Cattolica, mérito che va riconosciuto a Sergio Cigada, un Preside illuminato, che lo promosse.

Anche a Venezia Asturias fu, dal mió arrivo, presenza costante, e a Ca' Foscari ricevette, nel 1972, una laurea honoris causa che dichiarava di apprezzare più del Premio Nobel, avuto nel 1967, dopo il quale era tornato in Bocconi per ringraziare pubblicamente l'allora giovane professore, come del resto fece anche Neruda appena ricevuto il Nobel.

Alla morte di Asturias il poeta Aimé Césaire ne immortalo la grandezza:

Quand les flèches de la Mort atteignirent Miguel Ángel

on ne le vit point couché

mais bien plutôt déplier sa grand taille

au fond du lac qui s'illumina

Miguel Ángel immergea sa peau d'homme

et revêtit sa peau de dauphin

Miguel Ángel dévêtit sa peau de dauphin

et se changea en arc-en-ciel

Miguel Ángel rejetant sa peau d'eau bleue

revêtit sa peau de volcan

et s'installa montagne toujours vert

l'horizon de tous les hommes.



Così amo ricordare il grande personaggio, amico e maestro.